Telecamere in ambienti di lavoro: Sindacati o Ispettorato del lavoro

La mancanza di questi permessi, comporta la responsabilità penale del datore di lavoro

Prima di installare un sistema di videosorveglianza in ambienti di lavoro serve l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro quando derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa. La Corte di Cassazione, con la sentenza 4331/2014 ha precisato che: «l’installazione di una telecamera diretta verso il luogo di lavoro dei propri dipendenti o su spazi dove essi hanno accesso, anche sporadicamente, deve essere previamente autorizzata dall’Ispettorato dal Lavoro o deve essere autorizzata da un particolare accordo con i sindacati. La mancanza di questi permessi, comporta la responsabilità penale del datore di lavoro».

Le telecamere possono, quindi, essere montate e installate solo dopo la ricezione dell’autorizzazione. Anche la presenza dell’impianto di videosorveglianza, per quanto spento, necessita di previa approvazione.

A nulla rileva l’eventuale, consenso seppur informato, raccolto dal datore di lavoro dai propri dipendenti anche quando concerne la totalità dei lavoratori.

L’irrilevanza del consenso scritto o orale di tutti i dipendenti è stato affermato da Cass., pen, sez. III, 08 maggio 2017 n. 22148, che ha ribaltato un precedente orientamento espresso da Cass. pen. Sez. III, 17 aprile 2012, n.22611. I giudici di Piazza Cavour hanno sottolineato come l’articolo 4 tuteli interessi di carattere collettivo e superindividuale e la sua violazione integri una condotta antisindacale.

Sempre Cass., pen, sez. III, 17 Dicembre 2019 n. 50919 ha confermato il principio per cui il consenso prestato dai dipendenti all’installazione di un impianto di videosorveglianza nei locali aziendali non è sufficiente per sanare la mancata attivazione della procedura prevista dall’art. 4 della L. 300/1970, che richiede obbligatoriamente l’accordo sindacale o, in difetto, l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro.

Da ultimo in una recente pronuncia della Corte di Cassazione penale, di inizio 2020, (Cass. Pen., Sez. III, 17 gennaio 2020,. N.1733) la Corte ribadisce gli orientamenti citati: “… il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato (anche scritta, …), non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice.” “… a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perché ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione.”

Le stesse linee guida n.3/2019 dell’EDPB hanno affermato che: “Dato lo squilibrio di potere tra datori di lavoro e dipendenti, nella maggior parte dei casi i datori di lavoro non dovrebbero invocare il consenso nel trattare i dati personali, in quanto è improbabile che quest’ultimo venga fornito liberamente. In tale contesto si dovrebbe tener conto delle linee guida sul consenso.” (Given the imbalance of power between employers and employees, in most cases employers should not rely on consent when processing personal data, as it is unlikely to be freely given. The guidelines on consent should be taken into consideration in this context – Punto 47).

Fonte ufficiale: FederPrivacy